Il Mosaico Antico

L’arte del mosaico è antica quanto le civiltà storiche del Mediterraneo. Ogni aspetto sociale e politico, religioso e cultuale, filosofico e pratico ha nutrito quest’arte e vi ha trovato adeguata rappresentazione. I primi mosaici a noi noti hanno sostituito nel VI–V° secolo a.C. le elementari ed essenziali tessiture geometriche dei tappeti con analoghe composizioni di ciottoli chiari e scuri. Il mosaico diviene così parte integrante dell’architettura e garantisce durevolezza al pavimento: funzione certamente pratica, che consente risparmio e igiene.

Ma nel mondo occidentale antico non v’è netta distinzione tra sacro e profano, tra funzione pratica e funzione simbolica. Al pari del tappeto, il mosaico pavimentale dà senso e ordinamento al mondo sublunare mediante la geometria, imprime sulla terra l’ordine celeste: accanto alle forme geometriche, che l’Occidente antico considera i calchi primordiali dell’universo, affiora sul tessuto del mosaico il complesso e multiforme mondo degli dei e quello altrettanto ricco e variegato degli eroi, guerrieri che il destino ha voluto d’origine divina e umana al contempo.

Nella stagione ellenistica (324–31 a.C.), che permea le coste mediterranee della lingua e della cultura greca, il mosaico giunge alla sua prima, grandiosa fioritura. Il taglio dei materiali lapidei in tasselli cubici o in aree sagomate secondo il profilo delle figure, che consente d’ottenere una pavimentazione perfettamente piana, dà agio a ogni edificio pubblico e privato e persino alle imbarcazioni principesche d’adornarsi di scene sacre, epiche, di vita quotidiana, di motivi decorativi floreali e geometrici e di sfoggiare una vivacissima, sgargiante policromia che compete con le più sottili astuzie della pittura.

A questa stagione risalgono i primi mosaici parietali destinati a decorare, nei giardini, fonti racchiuse da una o tre nicchie incrostate di conchiglie e lucenti tessere di pasta vitrea, luoghi appartati consacrati al culto e al ricordo delle Muse, divine custodi della memoria e della sapienza. Dal nome di queste fonti, Musaea, deriva il termine mosaico: l’arte votata alle Muse.

 

Il Mosaico Bizantino

La signoria di Roma sul Mediterraneo e l’Europa (27 a.C.–393 d.C.) segna la capillare diffusione del mosaico in ogni provincia e l’affermarsi di molteplici orientamenti stilistici. D’impronta ellenista permane il mosaico pavimentale del Mediterraneo orientale, orchestrato come un unico quadro posto al centro della composizione ed esaltato dalle fasce decorative, mentre quello occidentale tende a orientare più scene lungo i margini della superficie. In Italia e nelle provincie occidentali si affermano progressivamente una cromia ridotta al bianco e nero che staglia le figure e uno sconfinato repertorio decorativo, mentre sulle coste africane e orientali perdura il primato della figura policroma.

Tre anni dopo la proibizione di tutti culti precristiani e l’obbligo d’osservare la fede cristiana, l’impero romano si scinde (395 d.C.). Capitale d’Occidente Ravenna (dal 404), d’Oriente Bisanzio, chiamata Costantinopoli in onore di Costantino (280–337 d.C.), primo imperatore cristiano al cui scettro si deve tra l’altro il rivestimento musivo dei luoghi sacri di Gerusalemme e l’esenzione fiscale per i mosaicisti, “perché possano perfezionarsi nella loro arte e trasmetterla ai figli”. La dottrina cristiana in quest’epoca è impegnata ad assimilare la filosofia, la cultura, la tecnica e il repertorio figurativo della civiltà greco romana.

La grande stagione del mosaico bizantino, che culmina durante l’impero di Giustiniano (527–565 d.C.), coincide con il primato del mosaico parietale di smalti e paste vitree e l’affermarsi di nuovi principî formali e stilistici sapientemente innestati su motivi figurali greco romani. La narrazione s’avvale d’un ridotto numero di figure per ragioni di chiarezza e tende a privilegiare la figura dell’analogia e il simbolo: Cristo, per esempio, è presentato con le vesti e gli apparati dell’imperatore; il blu, alla sua prima apparizione nell’arte dell’Occidente, allude alle qualità dell’anima, l’oro a quelle dello spirito. La tessera, non più costretta nel piano del pavimento, tagliata ora con minore regolarità e posta con inclinazioni diverse, consente una più viva modulazione della luce e del colore, enormemente arricchita dalla gamma degli smalti. Il principio di rispettare la planitudine della parete architettonica comporta la definitiva rinuncia a uno spazio prospettico e il conseguente uso di vivi contrasti cromatici per suggerire sinteticamente la profondità. Ciò conduce all’abbandono dell’asse cromatico greco, basato su un sistema tonale di rossi e gialli e il nero, e della resa lineare dello spazio: in luogo di una veduta descrittiva e ottica, il mosaico bizantino propone una visione sintetica e mentale. Questa radicale metamorfosi non resterà senza esiti: costituirà la necessaria premessa dell’arte del Novecento.

Maurizio Nicosia