Dal Dizionario della critica d’arte di L. Grassi e M. Pepe:

Ritmo

(gr. rytmos; lat. rhytmus). La nozione di Ritmo -assai affine a quella di euritmia (v.)- si riferisce a elementi compositivi contrastanti ma caratterizzati da un rapporto di periodica ricorrenza
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Assai interessanti appaiono le considerazioni di A. RIEGL (1901) sull’utilizzazione del R. nell’arte tardo-romana (1901); esso divenne allora elemento essenziale, per la sua peculiarità di favorire un’espressione rapida e immediata in composizioni aventi svolgimento sul piano: «Il mezzo artistico di cui sia l’arte tardoromana che quella antica si sono servite… è il ritmo. Il ritmo, cioè la ripetizione in serie di figurazioni identiche, chiarisce in modo persuasivo e immediato l’appartenenza delle varie parti a un tutto organico e individuale… Esso però… è necessariamente legato alla superficie» (p. 263). Implicazioni ‘ritmiche’ sono rilevabili in particolare ogni qual volta si tenda nel tessuto compositivo ad allontanarsi dalla riproduzione di forme ‘naturali’ nell’intento di scoprire e fissare una ‘realtà’ di ordine diverso, basata su principi ideali, matematici, o comunque ‘astrattivi’.
In questo senso la nozione di R. interessa in particolare la produzione architettonica, coinvolgendo in senso lato le teorie dei numeri (v. Numero), degli intervalli musicali, dei rapporti armonici…

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Misura

Voce di frequente uso dal sec. XIV nel linguaggio della critica d’arte il cui significato è riconducibile al valore etimologico del termine: latino mensura, da mensus, part. pass. di metiri, che vale ‘misurare’, ‘distribuire’, ‘dividere’; M. è dunque essenzialmente una unità assunta quale elemento di riferimento -v. in questo senso anche ‘modulo’- per la misurazione di una quantità: «Distinguimento determinato di quantità» (F. BALDINUCCI, 1681); ma è anche il criterio informatore, il principio ideale che presiede all’operazione; in questo senso il concetto di M. è assai vicino a quello di proporzione (v.) col quale in effetti finisce assai spesso per confondersi; G. VASARI (1568) nella Introduzione alle tre arti: dell’Architettura, al cap. VII -«Come si ha a conoscere uno edificio proporzionato bene» scrive tra l’altro che occorre vedere «se è stato spartito con grazia e conveniente misura» (I, p. 90); i due termini possono anche essere associati, in una sorta di evidente tautologia: «Ma nel tempio di Diana mutarno forma, ordinando le colonne con la misura e proporzione della donna» (RAFFAELLO, 1483-1520, p. 64). E ancora G. P. LOMAZZO (1584) riferisce che secondo Michelangelo «i pittori e scultori moderni dovrebbono avere la proporzione e le misure ne gl’occhi, per potergli metter in essecuzione» (II, p. 288).
Inerente a M. è anche il senso di ‘rapporto‘, giusta relazione (v.): «i disegni appariscono mal riposti, quando non sono proporzionati ai siti, e quando hanno difetto nelle misure, nelle corrispondenze, e nelle proporzioni delle parti» (T. GALLACCINI, 1621, p. 18). […]
La M. in quanto calcolo e attento studio dei rapporti tra le diverse parti di una composizione -in particolare di una figura umana- è sovente ritenuta elemento di primaria importanza per l’arte dello scultore… […]
In riferimento all’architettura è comune l’associazione all’idea di ‘proporzione’: «L’idea generale di misura entra sotto tanti rapporti nelle combinazioni dell’architettura, che vi si potrebbe riferire tutta la teoria di quest’arte, perché le proporzioni sulle quali essa si fonda altro non sono che calcoli di misura» (A. C. QUATREMÈRE DE QUINCY, 1755-1849).
[…]

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Contrasto

Tra le regole classiche formulate per la composizione (v.) da A. R. MENGS (1787), rientra il C., che presenta affinità con la contrapposizione (v.), ma se ne distingue. Il contrapporsi delle membra o dei volumi in una o più figure è diverso dal C.,  concetto più congeniale alla opposizione di tinte, colori, lumi e ombre, in un effetto di strutture plastiche, o pittoriche, o architettoniche. […]
A. C. QUATREMÈRE DE QUINCY (1785-1849) attribuisce al C. nell’architettura un significato non razionale o normativo, ma già romantico; almeno nel ravvisarvi un sentimento, di fronte all’opera d’arte, che corrisponde a talune posizioni di Winckelmann: «L’effetto del contrasto è quello adunque di portare subitamente l’anima, mediante un impulso inatteso, al godimento di un’impressione di sorpresa che, per essere appunto assai forte, non potrebb’essere né di lunga durata, né troppo sovente ripetuta»…

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