«God the first garden made, and the first city Cain»
[«Dio fece il primo giardino, Caino la prima città»]
Abraham Cowley, The Garden, 1668

«In giardino le cose vanno sempre come nella vita: per ogni vantaggio ci è sempre inflitta anche una noia»
Ernst Jünger, Gärten und Strassen, 1942

«Su cento architetture disegnate da grandi architetti contemporanei cinque prevedono un albero, tre un giardino, una una fontana, nessuna un ruscello»
Ettore Sottsass, L’altro catalogo, 1995

«God Almightie first Planted a Garden. And indeed, it is the Purest of Humane pleasures. It is the Greatest Refreshment to the Spirits of Man; Without which, Buildings and Pallaces are but Grosse Handy-works: And a Man shall euer see, that when Ages grow to Ciuility and Elegancie, Men come to Build Stately, sooner then to Garden Finely: As if Gardening were the Greater Perfection».1
«Dio onnipotente per prima cosa piantò un giardino. E infatti è il più puro degli umani piaceri. È il più grande ristoro per lo spirito dell’uomo; senza del quale, costruzioni e palazzi sono soltanto rozze opere manuali: e si vedrà sempre che, quando i tempi diventano civili ed eleganti, gli uomini pervengono a costruire sontuosamente prima che a piantar giardini con gusto: come se il giardinaggio fosse più grande perfezione».2

Così inizia, magistralmente, e, direi, definitivamente, il quarantaseiesimo degli Essayes di Francis Bacon, intitolato Of Gardens. Non è certo un caso che il saggio segua immediatamente quello dedicato ai Buildings, alle costruzioni. Anche l’incipit di quest’ultimo è fulminante: «Houses are built to Liue in, and not to Looke on: Therefore let Vse bee preferred before Vniformitie»:3 «Le case sono costruite per viverci dentro, e non per guardarle: perciò l’utilità sia preferita alla simmetria».4 Sono dunque sotto il segno dell’utilitas vitruviana e non sotto quello della venustas/symmetria. Al contrario dei giardini, totalmente “inutili” e perciò fondamentali, come il Tao c’insegna (l’utilità dell’inutile).5
Lo confermerà autorevolmente nientemeno che Immanuel Kant, che nella sua Critica del giudizio sottolineerà come l’arte dei giardini, simile in questo alla pittura, «non [sia] condizionata nella sua composizione (come l’architettura) da alcun concetto dell’oggetto e del suo scopo, ma soltanto dal libero gioco dell’immaginazione nella contemplazione».6

Nel Giardino dell’Eden non ci sono architetture. Come tutti sanno, “paradiso”, attraverso il latino (paradisus) e il greco (paradeisos), ha origine dal persiano pairidaez, che significa giardino. «La forma più alta di vita – quella che Dio promette nel suo paradiso – è il godimento di un meraviglioso giardino, luogo di tutte le felicità, di ogni santità, di tutta l’intelligenza e di ogni saggezza».Fintantoché gli uomini si sono meritati il Giardino, non hanno avuto bisogno di architetture. Ma, dopo la Caduta, le abitazioni si sono rese necessarie. Che il giardino –apparso, dobbiamo presupporre, qualche tempo dopo, dopo aver risolto gli impellenti problemi del riparo– stia a significare il ricordo (e il tormento) del Paradiso perduto?

Dopo la cacciata dall’Eden, le delizie del Giardino non ce le meritiamo più, o soltanto a piccole dosi, se è vero, come scrive Pietro de’ Crescenzi, che «non è conveniente che il re o qualunque altro signore si dilettino sempre; solo quando avrà compiuto i suoi gravi e importanti doveri, e avrà soddisfatto i suoi sudditi, allora potrà andare a rinfrescarsi ringraziando Dio e glorificando il Sovrano Signore che è conservatore, inizio e fine di tutti i buoni piaceri».E, ciononostante, i Giardini sono opera da re (ad imitatio dei): simbolo del loro potere sulla Natura,9 piantati addirittura dagli stessi sovrani, come ci dice Senofonte dei giardini di Sardi curati di persona da Ciro il Grande.10

Ma ancor prima che Dio plasmasse il Giardino dell’Eden, già i greci sapevano che le piante, l’elemento princeps dei giardini (con i fiori), erano la casa, l’oikos degli dèi. Le piante, fin dall’inizio della civiltà, hanno a che fare col sacro. Prima che nei templi, gli dèi greci risiedevano nei rispettivi alberi sacri. Ce lo ricorda Plinio che «Hæc fuere numinum templa, priscoque ritu simplicia rura etiam nunc deo præcellentem arborem dicant. Nec magis auro fulgentia atque ebore simulacra quam lucos et in iis silentia ipsa adoramus» («Proprio alberi erano i templi dedicati alle divinità e ancora adesso, secondo un rito antico, la gente semplice di campagna consacra a un dio l’albero più bello. D’altronde le statue splendenti d’oro e d’avorio non suscitano in noi maggior venerazione che i boschi sacri e il loro stesso silenzio»);11 e Luciano, a sua volta, scrive: «e in principio a ciascun dio riservarono selve, dedicarono monti, consacrarono uccelli e piante».12 Entrambi, assai prima di Karl Bötticher e dei suoi fondamentali studi in Der Baumkultus der Hellen.13

Tomaso Buzzi, che un po’ un dio si sentiva, amava tanto i giardini da progettarne in sedicesimo (forse anche per via della sua non considerevole altezza – era soprannominato “Buzzino”): quei “giardinetti d’appartamento”, realizzati negli anni Trenta in metallo, vetro e piastrelle di ceramica dipinte, decorati con vasi di fiori anch’essi in ceramica, peschiere o gabbiette per gli uccelli domestici,14 eredi forse dei piccoli giardini artificiali in cera, destinati a decorare le tavole, e offerti ogni 10 febbraio al re di Persia dai cortigiani, come rito di fecondità.

In ogni caso la storia dei giardini – magistralmente tracciata da Marie Luise Gotheim, nel 1914 (e poi nel 1925) nel suo Geschichte der Gartenkunst15 – è corsa sempre parallela e intersecata a quella dell’architettura – il giardino, infatti, tocca tasti che l’architettura non può suonare: il giardino è movimento, vita, l’architettura è fissità e cristallizzazione; ecco perché, forse, l’una ha così bisogno dell’altro. In questo rapporto-scontro il giardino è stato a volte l’ancella, a volte la signora. Del primo caso ne è un bell’esempio lo scultore-scrittore Bartolomeo [Baccio] Bandinelli di cui si ricorda l’apodittica sentenza: «le cose che si murano, debbono esser guida, e superiori a quelle che si piantano»16 – Joseph Paxton, giardiniere del Duca di Devonshire, e non per nulla conterraneo di Bacon, si incaricherà di smentirlo a distanza di qualche secolo, sbaragliando qualunque concorrente “architetto” col suo progetto modulare del Crystal Palace per l’Esposizione internazionale del 1851; del secondo, ne testimoniano la Versailles del Re Sole (e, malauguratamente per lui, perché gli costò la vita, Nicolas Fouquet con il suo giardino di Vaux-le-Vicomte) o le terre del Sol Levante.

La natura ha sempre spaventato l’uomo a causa della sua vastità e della sua irregolarità: da ciò il giardino che, come l’orto e la corte – di cui ha in comune la radice “ghar” o “har”, cingere –, è natura recintata,17 forzata,18 addomesticata, resa geometrica, o fintamente spontanea (nel giardino “all’inglese”). Tra i più evidenti, i giardini egizi e gli horti conclusi medievali, nascosti da alte mura (così come gli horti urbani, poi divenuti giardini, di Ravenna, e svelati, prima dei voli aerei, solo dalle Piante panoramiche di Gaetano Savini; e vien da dire che quelli di Ravenna sono giardini “greci”, non persiani: giardini razionali per cose necessarie, utili, individualistici,19 alieni da quella presenza “panica” che i greci percepivano nei luoghi naturali (boschi, fonti, ruscelli). Nel suo tentativo di delimitare il caos, il giardino, come ha scritto magistralmente Pierre Grimal, «è il recinto meraviglioso in cui si impara a “barare” con le leggi della natura».20

Epilogo

L’uomo e la donna sono stati creati per abitare in un Giardino. Dopo aver gustato dell’Albero del Bene e del Male sono scacciati da questo luogo di delizie e devono faticare per vivere, provare dolore per procreare, nonché “ingegnarsi” per costruirsi un riparo dalle intemperie. Se se lo meritano, poi, li aspetta un paradiso fatto non più di prati, fiori ed alberi, ma di città di cristallo: la Gerusalemme celeste, se ebrei o cristiani, un paradiso di giardini e di «magnifiche abitazioni» (Corano IX 72), se musulmani.
L’abitare dentro quattro mura sembra dunque essere un’invenzione (una “condanna”?) propriamente umana, estranea alla creazione divina e recuperata solo alla fine dei tempi, trasmutando la rozza materia in cristallo. Architetture, per quanto sfavillanti, cui Dio, all’inizio, creatore di giardini, non ha certo pensato. A riconferma, se ce ne fosse bisogno, dell’insanabile dicotomia baconiana tra Buildings and Pallaces, opera dell’uomo, e Gardens, opera di Dio. Dimenticavo: il giardino è sempre minacciato dalla foresta, come ci ha insegnato Ernst Jünger, grande amante dei giardini,21 in Auf den Marmorklippen.22


 Note

1. Francis Bacon, Of Gardens, cap. XLVI degli Essayes, 1597, in Mario Melchionda, Gli «Essayes» di Francis Bacon: Studio introduttivo testo critico e commento, Firenze, Leo S. Olschki Editore, mcmlxxix, p. 343.

2. Francesco Bacone, Saggi, Introduzione di Augusto Guzzo, Traduzione a cura di Cordelia Guzzo, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese (già Ditta Pomba), 1961, p. 229 (traduzione leggermente modificata).

3. Francis Bacon, Of Building, cap. XLV degli Essayes, cit., p. 339.

4. F. Bacone, Saggi, cit., p. 224.

5. Il giardino orientale, luogo perfetto di contemplazione, assume proprio caratteri paradisiaci: «Con la sua montagna e il suo lago, il giardino cinese non è dunque, in ultima analisi, che un’immagine del Paradiso. Non perché è un luogo di delizie, ma perché è un luogo di evidenza, un sito perfetto, ordinato in accordo con le leggi del Cosmo», Pierre Grimal, L’art des jardins, Paris, Presses Universitaires de France,1974, tr. it. L’arte dei giardini: Una breve storia, A cura di Marina Magi, Presentazione di Ippolito Pizzetti, Roma, Donzelli editore, 2000, 2005, p. 98. Una sorta di Paradiso in terra, come sottolineano bene questi versi di Chi Ch’eng: «Quando l’alba del giardino avanza, si è svegliati dalla fresca brezza che arriva fino al nostro letto, e tutta la polvere del mondo fugge dal vostro cuore», Ji Cheng, Yuan Ye [Il mestiere dei giardini], 1631.

6. Critica del giudizio, parte I, sezione I, libro II 51, nota 16.

7. P. Grimal, L’arte dei giardini…, cit., p. 32.

8. Ruralium Commodorum libri XII, 1304, citato in P. Grimal, L’arte dei giardini…, cit., p. 51.

9. Cfr. ibid., p. 34.

10. Cfr. Œconomicon, IV1321-25.

11. Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, XII 2, ed. cons.: Storia naturale, vol. III: Botanica, tomo I: Libri 12-19, Traduzione e note di Andrea Aragosti et alii, Torino, Giulio Einaudi editore, 1984, pp. 6 e 8 (pp. 7 e 9 per la traduzione italiana di Alessandro Perutelli).

12. Luciano, De sacrificiis, 10, tr. it. Intorno ai sacrifici, in Id., Dialoghi, a cura di Vincenzo Longo, Volume primo, Torino, U.T.E.T., 1976, p. 493.

13. Cfr. Karl Bötticher, Der Baumkultus der Hellenen: Nach den gottesdienstlichen Gebräuchen und den überlieferten Bildwerken, Berlin, Weidmann, 1856.

14. Cfr. Paola Tognon, «L’“ideario” dell’architetto», in Tomaso Buzzi: Il principe degli architetti 1900-1981, a cura di Alberto Giorgio Cassani, saggi di Guglielmo Bilancioni et alii, Milano, Electa, pp. 276-315: 283.

15. Si veda Marie Luise Gothein, Geschichte der Gartenkunst, Eugen Diederichs, Jena 1914, 19262, tr. it. di Massimo de Vico Fallani, Storia dell’Arte dei Giardini, Edizione italiana a cura di Massimo de Vico Fallani e Mario Bencivenni, Firenze, Leo S. Olschki, 2006, 2 voll. [1. Dall’Egitto al Rinascimento in Italia, Spagna e Portogallo; 2. Dal Rinascimento in Francia fino ai nostri giorni].

16. Bartolommeo Bandinelli a M. Iacopo Guidi, 11 febbraio, mdli, in Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII pubblicata da M. Gio[vanni] Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, volume primo, Milano, per Giovanni Silvestri, mdcccxxii, pp. 93-94 [n° XXXVIII].

17. «La natura, nel suo insieme, è ancora dominata dal disordine, dal vuoto e dalla paura; contemplarla induce a mille affannosi pensieri. Ma, in questo spazio selvaggio, si può includere un giardino», Kenneth Clark, Landscape into art, London, J. Murray, 1950, citato (nell’edizione francese, L’art du paysage, Paris, Gerard Monfort, 1994, p. 15) in Alain Roger, Court traité du paysage, Paris, Gallimard, 1997, tr. it. di Maria Delogu, Breve trattato sul paesaggio, Palermo, Sellerio editore, 2009, p. 29. Questo testo è una lettura magistrale del tema del giardino e del paesaggio.

18. «Prima di inventare paesaggi per mezzo della pittura e della poesia l’uomo ha creato giardini, che corrispondono a ciò che Pauline Cocheris, nel descrivere le tecniche di tatuaggio e di scarificazione, chiamava “le eleganze primitive”. Si tratta dei vestiti, degli ornamenti e delle torture che l’uomo impone al “paese”, colorandolo, tatuandolo, scarificandolo per farne un paesaggio, provando, fin dall’inizio, quel “piacere sublime di forzare la natura” di cui parla Sain-Simon a proposito di Versailles», ibid., p. 29.

19. Per i quali calza perfettamente la celeberrima chiusa del Candide, ou l’optimisme di Voltaire: «[…] il faut cultiver notre jardin».

20. P. Grimal, L’arte dei giardini…, cit., p. 4.

21. Si veda Gärten und Strassen: Aus den Tagebuchern von 1939 und 1940, Berlin, E.S. Mittler & Sohn, 1942; nuova edizione, Stuttgart, Ernst Klett, 1979, tr. it. di Alessandra Iadicicco, Giardini e strade: Diario 1939-1940: In marcia verso Parigi, Parma, Ugo Guanda Editore, 2009. Jünger ha utilizzato il giardino anche come metafora di due modi contrapposti di vedere il mondo: «Nel paradiso [….], nel giardino di Dio, regna l’unità suprema; non si distinguono più bene e male, vita e morte. Le belve non si sbranano, ma sono ancora nella mano del creatore, nello sfondo originario, nella loro figura spirituale e invulnerabile. La parte del serpente consiste appunto in questo, nell’insegnare a distinguere.
Da questo giardino hanno origine anche le due grandi sette, che sono individuabili in tutta la storia del pensiero e del sapere umani. Delle due, l’una si ricorda dell’unità e vede le cose sinotticamente, l’altra è sempre intenta a un lavoro analitico. Nei tempi buoni si può comprendere donde provenga la verità indipendentemente dal campo nel quale si manifesta», Ernst Jünger, Strahlungen, Stuttgart, Ernst Klett, 1955, tr. it. di Henry Furst, Diario 1941-1945, Presentazione di Ferruccio Masini, Milano, Longanesi, & C., 1957, 1983, p. 271.

22. Auf den Marmorklippen, Hamburg, Hanseatische Verlagsanstalt, 1939, tr. it. Sulle scogliere di marmo, Introduzione di Quirino Principe, Parma, Ugo Guanda Editore, 1988, 2002.