Quando il celebre stampatore e umanista francese Geoffroy Tory rientra in Francia dal suo viaggio in Italia è probabile avesse con sé una copia del De Divina Proportione di Luca Pacioli, pubblicato a Venezia nel 1509.
Sicuramente lo lesse e lo utilizzò per il suo “campo fiorito” di lettere (Champ Fleury,  1529), testo centrato sulla ricostruzione delle lettere capitali romane in cui cita l’allievo di Piero della Francesca come “frère Luca Pacioli“.
Peccato –aggiunge con una punta d’orgoglio– che le proporzioni fissate dal frate minore non siano quelle debite, come è riuscito invece a stabilire lui stesso, futuro stampatore del re di Francia.
La A di Tory è in effetti di costruzione più limpida, rispetto alla A di Luca Pacioli. Più chiaro il costrutto geometrico, e rigorosamente contenuta nella gabbia del quadrato.
Alla suddivisione per progressioni triadiche del quadrato che utilizza Pacioli, Tory preferisce una suddivisione del lato in dieci parti.
Il sottomodulo, non più d’1/9 ma d’1/10, consente anche una più agevole modulazione delle curve delle grazie: il diametro delle stondature minori è pari a 2/10, dunque 1/5, ed è di 4/10 ovvero di 2/5 quello delle stondature maggiori. Tory riesce a mantenere il rapporto di 1/2 fissato da Pacioli per le aste minore e maggiore anche per le stondature delle grazie.

Geoffroy Tory, Lettera A, Champ-fleury, 1529

Geoffroy Tory, Lettera A, Champ-fleury, 1529

L’asta maggiore della A di Pacioli, pari a 1/9 del lato del quadrato, implicitamente suggeriva proporzioni antropomorfe per le lettere: era consuetudine antica l’uso della testa come modulo per il corpo umano. Le variazioni si riducono al numero di teste: otto per un corpo virile, dieci per uno più gentile, nove per uno di medie proporzioni.
In sostanza le stesse variazioni che corrono tra dorico, ionico e corinzio che, lo ricordo di sfuggita, nel Rinascimento caratterizzano gli edifici sacri: dorico per i santi guerrieri come san Giorgio e Michele arcangelo, corinzio per le vergini e martiri, ionico per gli altri.
Le proporzioni antropomorfe, e ioniche, delle lettere di Pacioli non sfuggono a Tory, anzi ne fa il fulcro del saggio e non manca di sottolinearle con evidenza. Vitruvio aveva fissato le proporzioni per la figura umana in un passo che è all’origine del celebre disegno leonardesco e di tanti altri, incluso Tory:

la natura in tal modo ha composto il corpo dell’huomo, che l’osso del capo dal mento alla sommità della fronte, & le basse radici de i capelli, fusse la decima parte [del corpo]
(Vitruvio, I dieci libri dell’architettura di M. Vitruvio, tradotti e commentati da Mons. Daniele Barbaro, Venezia 1567, p. 109)

La scelta del modulo denario per i caratteri, da parte di Tory, è dunque gravida di significato: l’uomo vitruviano diviene il paradigma per la costruzione dell’alfabeto umanista.

Geoffroy Tory, Lettera A, Champ-fleury, 1529Geoffroy Tory, Lettera A, Champ-fleury, 1529

Ma l’uomo che descrive Vitruvio è a sua volta paradigma dell’umanità. Un uomo cosmico, riflesso dell’ordine universale, su cui vanno modulati gli stessi edifici sacri, che devono ricalcare la  suddivisione delle sue membra:

Simigliantemente le membra de i sacri Tempij devono havere in ciascuna parte alla somma universale di tutta la grandezza convenientissime rispondenze di misure. […]
Se adunque la natura ha composto in questo modo il corpo dell’huomo, che le membra rispondino con proportione alla perfetta loro figuratione; pare, che gli antichi con causa habbiano constituito, che in tutte le perfettioni delle opere vi abbia diligente misura, & proportione di ciascun membro a tutta la figura. […]
Similmente gli antichi raccolsero da i membri del corpo le ragioni delle misure, che in tutte l’opere pareno esser necessarie…
(Vitruvio, I dieci libri dell’architettura…, op. cit., pp. 111-12)

Il disegno dei caratteri, insomma, è per Tory progettazione, vera e propria architettura. E implica l’uso degli strumenti architettonici per eccellenza, il compasso e la riga, e le conoscenze necessarie all’architetto secondo la visione vitruviana: le arti liberali, iscritte nella lettera O sotto il presidio d’Apollo.

Geoffroy Tory, Lettera O, Champ-fleury, 1529Geoffroy Tory, Lettera A, Champ-fleury, 1529

Da questa prospettiva il quadrato non è semplicemente un modulo geometrico, ma un quadrante che riflette l’ordine universale e le sue parti. Sul piano dell’orizzonte rispecchia le polarità d’oriente e occidente, mentre sull’asse cosmico è governato da Apollo, a coronare il cielo, e dalle custodi della sapienza, le Muse.Geoffroy Tory, Lettera I, Champ-fleury, 1529Geoffroy Tory, Lettera I, Champ-fleury, 1529

 

Il Campo fiorito di Tory è, come sovente all’epoca, una struttura che connette. La lettera, nel riflettere l’ordine cosmico, si presta a divenire anche emblema, a suggerire dinamiche cognitive o modelli etici.
Nutrito d’una cultura pitagorico–platonica, era inevitabile che Tory presentasse come emblema la “lettera pitagorica” per eccellenza, la ipsilon. Ovvero il viatico della vita al momento del bivio, dinanzi al momento della scelta.
L’interpretazione si limita volutamente al senso morale, e dunque agli antipodi del vizio –la voluttà– e della virtù. La ipsilon, dunque, come sintetico memento di Ercole al bivio.
Tory lascerà ad altri, per esempio John Dee, l’onere di ricordare che la scelta è meno semplice di quanto si pensi, quando riguarda la via del potere o della conoscenza, e che lo scettro -in questo emblema status della virtù- facilmente fuorvia dal viatico della conoscenza. Per quel tragitto non ci vuole lo scettro, ma il bastone del filosofo.

Geoffroy Tory, Lettera Y, Champ-fleury, 1529