Nel 1907 Picasso, affascinato dalle forme primitive e antinaturalistiche dell’arte africana, dipinge Les demoiselles d’Avignon. Non è il suo quadro più bello, ma certamente il più celebre. L’arte africana, la pittura di Cézanne e l’amicizia con Braque inducono Picasso a semplificare, privilegiando le forme geometriche scandite da piani ampi e netti, i contorni sottolineati dal contrasto chiaroscurale. Apollinaire, poeta amico e critico dei cubisti, sintetizza così il momento della genesi: «Un altro dei sui amici lo condusse un giorno ai confini di un paese mistico dove la gente era così semplice e grottesca da poter essere facilmente raffigurata. L’anatomia, poi, non esisteva più nell’arte, bisognava reiventarla ed eseguire il suo assassinio con la scienza e con il metodo di un grande chirurgo» (G. Apollinaire, Pablo Picasso, in Montjoie, 1913).
Ma nel “paese mistico” Picasso ha occhi solo per le prostitute. E senza troppi giri di parole titola il quadro Le prostitute d’Avignone (una via di Barcellona). Fu solo la pressione degli amici -forse lo stesso Apollinaire- che lo indusse a non insistere sull’attività professionale delle figure ritratte, che quindi sono oggi note per il loro stato anagrafico di signorine…
L’opera è una cannonata contro alcuni secoli di pittura europea. Le Feste campestri di Bellini, Giorgione, Tiziano e altri, trasformate in Dejuner sur l’herbe da Manet, in Bagnanti da Cézanne e Matisse, sono divenute sotto il pennello di Picasso un consesso di mascheroni che esercita una professione poco affine al mondo delle ninfe. Del sontuoso banchetto campestre resta come cadavere da dissezionare un po’ di frutta su un lenzuolo. E il limpido cielo dei paesaggi veneziani è andato in mille pezzi, come un foglietto di carta strappato con foga.
Lo schema costruttivo mostra che Picasso ha costruito l’opera sulle diagonali e le suddivisioni geometriche del quadrilatero. Sui tre principali assi verticali, determinati dalla partizione in quattro, egli allinea e imposta le cinque figure. Sulla diagonale maggiore discendente allinea dall’alto la mano, i seni della seconda donna e la coscia della donna seduta. Su una diagonale parallela costruisce la tovaglia con la frutta, e all’intersezione con la diagonale maggiore ascendente fissa il pube della seconda donna. Il mascherone in alto a destra si schiaccia tra l’asse verticale e la diagonale, e il suo seno si protende come un rombo, catturato dal centro magnetico dell’altra intersezione.
L’opera dunque non è più concepita come uno spazio aperto, tipico della finestra prospettica rinascimentale, che è solo una porzione dello spazio e idealmente continua oltre la cornice. Viceversa è realizzata come lo spazio chiuso della pittura precedente l’elaborazione del canone prospettico: il formato quadro e la sua tessitura geometrica hanno la proprietà, comune nella scultura alto romanica, di ‘catalizzare’ le figure e deformarle, se necessario, per piegarle magneticamente all’ordito geometrico. Poco più tardi i cubisti insisteranno sulla quarta dimensione, ma è evidente che a Picasso ne bastavano solo due, per demolire cinque secoli di pittura europea.